di Eduardo Galeano
Fino a 20 o 30 anni fa, la povertà era il risultato
dell'ingiustizia. Lo denunciava la sinistra, lo ammetteva il centro, la destra raramente
lo negava. Le cose sono cambiate molto negli ultimi tempi: ora la povertà è la
giusta punizione che merita l'inefficienza o, semplicemente, è un modo di espressione
dell'ordine naturale delle cose. La povertà può meritare pietà, ma non provoca
più indignazione: ci sono persone povere per fatalità o causa di un gioco del
destino. Il codice morale di questi tempi non condanna l'ingiustizia, ma
piuttosto il fallimento.
Alcuni mesi fa, Robert McNamara, che è stato uno dei
responsabili della guerra del Vietnam, ha scritto un lungo pentimento pubblico.
Il suo libro In retrospect (Times Books, 1995) riconosce che quella guerra è
stata un errore. Ma quella guerra, che ha ucciso tre milioni di vietnamiti e
58.000 nord-americani, è stata un errore perché non poteva essere vinta, e non
perché era ingiusta. Il peccato è nella sconfitta, non nell'ingiustizia.
Con la violenza accade la stessa cosa che accade con la
povertà. Nel sud del pianeta, dove vivono i perdenti, raramente la violenza
appare come risultato dell'ingiustizia. La violenza è quasi sempre esibita come
il frutto della cattiva condotta degli esseri di terza classe che abitano il
cosiddetto Terzo Mondo, condannati alla violenza perché la violenza è nella loro
natura: la violenza corrisponde, come la povertà, all'ordine naturale, all’ordine
biologico o forse zoologico di un sub-mondo che è così perché così è stato e
così continuerà ad essere.
Mentre McNamara pubblicava il suo libro sul Vietnam, due
paesi dell'America Latina, Guatemala e Cile, attiravano, con sorprendente
eccezione, l'attenzione dell'opinione pubblica nord-americana.
Un colonnello dell'esercito guatemalteco è stato accusato
dell'omicidio di un cittadino degli Stati Uniti e della tortura e morte del
marito di una cittadina degli Stati Uniti. È stato rivelato che per anni il
colonnello aveva ricevuto uno stipendio della CIA. Ma i media, che hanno diffuso
molte informazioni sullo scandalo, hanno prestato poca attenzione al fatto che
la CIA finanzia gli assassini e promuove e rimuove i governi in Guatemala dal
1954. In quell'anno, la CIA organizzò, con l'approvazione del presidente
Eisenhower, il colpo di stato che ha rovesciato il governo democratico di
Jacobo Arbenz. Il bagno di sangue che il Guatemala ha subito da allora è sempre
stato considerato naturale e raramente ha attirato l'attenzione dei fabbricanti
di notizie per l’opinione pubblica. Non meno di 100.000 vite umane sono state
sacrificate, ma quelle erano vite guatemalteche e, per la maggior colmo di
disprezzo, vite indigene.
Nello stesso momento in cui rivelavano del colonnello in
Guatemala, i media hanno riferito che in Cile due alti ufficiali della
dittatura di Pinochet erano stati condannati. L'omicidio di Orlando Letelier è
stato un'eccezione alla regola dell'impunità e questo dettaglio non è stato
menzionato. I militari che nel 1973 che con un colpo di stato avevano preso il
potere in Cile, colpo di stato al quale aveva collaborato, confessandolo, il presidente
Nixon, avevano commesso impunemente molti
altri crimini. Letelier era stato assassinato, con la sua segretaria nord-americana,
nella città di Washington! Cosa sarebbe successo se invece fosse accaduto a
Santiago del Cile o in qualsiasi altra città latinoamericana? Ciò che successe
al generale cileno Carlos Prats, impunemente
assassinato, con sua moglie, anch'essa cilena, a Buenos Aires, nel 1970.
Auto imbattibili, saponi prodigiosi, profumi eccitanti,
antidolorifici magici: attraverso il piccolo schermo, il mercato ipnotizza il
pubblico consumante. A volte, tra avvertimento e avvertimento, la televisione
lancia immagini di fame e guerra. Quegli orrori, quelle fatalità, provengono
dall'altro mondo, dove accade l'inferno, e sottolineano solo il carattere
paradisiaco delle offerte della società dei consumi. Queste immagini provengono
spesso dall'Africa. La fame africana viene mostrata come una catastrofe
naturale e le guerre africane non affrontano gruppi etnici, popoli o regioni,
ma tribù e non sono altro che cose da neri. Le immagini della fame non alludono
mai, neppure di sfuggita, al saccheggio coloniale. La responsabilità delle
potenze occidentali che ieri hanno dissanguato l'Africa attraverso la tratta
degli schiavi e la monocultura obbligatoria non è mai menzionata, e oggi
perpetuano l'emorragia pagando salari da fame e prezzi da fallimento. Lo stesso
vale per le immagini delle guerre: sempre lo stesso silenzio sull'eredità
coloniale, sempre la stessa impunità per gli inventori dei falsi confini che
hanno lacerato l'Africa in più di cinquanta pezzi e per i trafficanti di morte,
che dal Nord vendono armi perché al Sud si facciano le guerre. Durante la
guerra del Ruanda, che ha fornito le immagini più atroci nel 1994 e gran parte
del 1995, non è per casualità se nelle Tv non ci sia stato il minimo
riferimento alla responsabilità di Germania, Belgio e Francia. Ma le tre
potenze coloniali avevano in fasi successive, contribuito a fare a pezzi la
tradizione di tolleranza tra tutsi e hutu, due popoli che avevano convissuto
pacificamente, per diversi secoli, prima di essere addestrati per lo sterminio
reciproco.