Agli inizi degli anni 90,
durante una delle crisi cicliche che hanno gradualmente distrutto
tutto il tessuto industriale del’isola, mi era capitato di avere delle discussioni,
direi quasi di tipo esistenziale, sull’assenza in Sardegna di imprese che,
partendo dalle materie prime esistenti o dalle materie seconde provenienti dall’industria
primaria, creassero manufatti ad alto valore aggiunto, anche quelli che servivano
per il semplice scorrere della vita quotidiana degli individui.
Questo tipo di
considerazioni potevano essere fatte osservando gli ambienti circostanti in
qualsiasi situazione uno si trovasse, che fosse al lavoro, al bar o
semplicemente a casa, ad esempio a cena con la famiglia. Bastava semplicemente guardarsi intorno,
vedere gli oggetti presenti sia che fossero d’uso comune o più sofisticati per
rendersi conto che nemmeno uno di loro era “made in Sardinya”. Importavamo
tutto, dalle forchette ai piatti e ai bicchieri, dai tavoli in legno o in
formica ai televisori, dalle biciclette alle autovetture o ai camion, dalle
carriole alle bare.
Oggi, anno 2014, nulla è
cambiato, anzi se è possibile la tendenza si è accentuata e purtroppo anche la
drammatica, endemica e perenne crisi occupazionale è diventata più grave,
coinvolgendo settori che allora ritenevamo immuni dalla possibilità di crisi
come quelli del settore turistico-alberghiero e quello dei trasporti. Oggi,
anno 2014, ancora una volta, l’unica possibilità di sopravvivenza di molti
giovani è quella di preparare la valigia (made in Italy), riempirla delle poche cose possedute e
scegliere la vecchia via dei nostri padri e nonni: la strada dell’emigrazione.
Tutto
questo sfogo iniziale per presentare una poesia di Luis Rogelio Nogueras tradotta (riveduta e corretta almeno per
quello che riguarda le località citate in origine) in sardo. La poesia parla
proprio dei temi di cui ho scritto nella lunga introduzione, il paese citato da
Nogueras nella sua poesia è il Guatemala e l’altro paese non poteva che essere
gli USA del quale non solo il Guatemala ma tutti gli stati dell’America
centrale e anche parecchi di quella Meridionale erano considerati il cortile di
casa. Le potenti multinazionali Nord-americane dominavano l’economia dell’area
e il governo statunitense faceva e disfaceva con le buone o con i golpe i governi
dei paesi latinoamericani i cui popoli erano soggiogati e super sfruttati a
vantaggio esclusivo degli Stati Uniti.
Naturalmente
non voglio con le correzioni che ho fatto alle località nella mia versione in
sardo, fare paralleli tra la Sardegna e l’Italia, non voglio cioè dire che l’Italia
è lo stato che sfrutta la Sardegna ma semplicemente fare la fotografia ad una
situazione di fatto.
Del
resto questa è solo una poesia.
S'interru (di Luis Rogelio Nogueras)
(versione in limba sarda di
Franco Sotgiu)
L'ant interradu in mesu a unu buscu de crecu
no tames de cussu
su baule de linna de crecu beniat dae sa Toscana;
l'ant interradu a làcanas de una mina de ferru ma
sos zoos de su baule e sa pala de ferru beniant dae
Brescia;
l'ant interradu a làcanas de una cussorza de sas menzus arbeghes de su mundu
e no tames de cussu
s'imprenimentu de lana de su baule arribaiat dae sa Puglia.
L'ant interradu cun d'unu bestire de Milano,
una paja de iscrapas de Ancona,
una camisa de Firenze,
e una paia de mizas de Vicenza.
Sardigna no at dadu nudda a s'interru,
foraschì su mortu.
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La traduzione
in Italiano, in questo caso, non è la traduzione del testo originale ma la
traduzione della mia versione in sardo. La poesia di Luis Rogelio Nogueras era
(secondo una nota dell’autore una parafrasi di un famoso testo Nordamericano) e
aveva per titolo “Obituario” in Italiano traducibile in “Necrologio” che però non
ha riscontri in “limba sarda”. Mi riprometto di pubblicare prossimamente in questo blog anche il testo
originale in spagnolo e la mia traduzione in Italiano.
(Fu sepolto nel
cuore di una bosco di quercia, nonostante ciò
la bara di legno di quercia
è stata importata dalla Toscana;
fu sepolto nei
pressi di una miniera di ferro ma
i chiodi della bara
e la pala di ferro sono stati importati da Brescia;
fu sepolto vicino
alle migliori pecore da pascolo del mondo e tuttavia
i festoni di lana della
bara venivano dalla Puglia.
Fu sepolto con un
abito di Milano,
un paio di scarpe di
Ancona,
una camicia di Firenze
e i calzini di Vicenza.
Sardegna non ha
fornito nulla al funerale,
tranne il cadavere.)