Se fosse vissuto negli USA
sicuramente sarebbe stato, anche suo malgrado, l’eroe in decine di films
prodotti dall’industria hollywoodiana. Essendo semplicemente un cittadino
italiano per di più comunista, è rimasto nella memoria di pochissima gente,
forse anche di pochissimi suoi concittadini. Mi ricordavo di Ilio Barontini per
aver visto, quando ero un ragazzino, un manifesto del PCI: un italiano
schierato, con gli etiopi aggrediti, contro i fascisti italiani colonialisti
aggressori. Ho sempre voluto approfondire la conoscenza della sua figura e
delle sue esperienze fatte nei campi di battaglia di mezzo mondo. Purtroppo,
Barontini non ha lasciato testimonianze scritte, la sua vita è stata stroncata
prematuramente in un incidente stradale.
Su alcuni avvenimenti di cui è
stato protagonista, restano le testimonianze di alcuni altri grandi uomini
che l’hanno conosciuto e gli sono stati amici, anzitutto Giovanni Pesce
comandante partigiano dei GAP (Gruppi d’Azione Patriottica) e Giorgio Amendola
(dirigente partigiano e politico del PCI), che nei loro libri di storia e di
memorie scrivono di lui e degli avvenimenti che lo hanno visto protagonista.
Il
giornalista e scrittore Fabio Baldassarri su Ilio Barontini ha
scritto alcuni libri biografici: (“Ilio Barontini: un garibaldino nel
‘900” - Teti 2001), e il recentissimo: ("Ilio
Barontini. Fuoriuscito, internazionalista e partigiano" - Robin 2013).
La gioventù
Ilio
Barontini nasce a Cecina (Li) il 28 settembre del 1890, la sua famiglia di
matrice politica anarchica gli permise di iniziare la sua attività politica da
adolescente, a 13 anni già era un militante anarchico. qualche anno più tardi
iniziò a lavorare come apprendista tornitore nei cantieri Orlando. Divenne
socialista e aderì al gruppo dell’Ordine Nuovo fondato da Antonio Gramsci. Nel
1921, nel congresso di Livorno fu tra i fondatori del Partito Comunista
d’Italia del quale divenne il primo segretario della federazione livornese.
Nello stesso periodo venne eletto anche segretario della Camera del Lavoro
della CGIL della città di Livorno. Dopo la marcia fascista su Roma combatté
contro le squadracce ma col fascismo dilagante nel 1923 venne arrestato e
processato.
Barontini fuoriuscito in Francia |
La fuga in Francia
Continuò a combattere il fascismo
a Livorno fino a quando nel 1927 il Tribunale Speciale fascista gli inflisse 3
anni di prigione. Scappò allora avventurosamente a Bastia in Corsica con una
barca a vela e riparò a Marsiglia in Francia dove continuò la militanza
politica tra i profughi italiani.
L’URSS
Nel 1931 raggiunse l’Unione
Sovietica dove all’inizio lavorò dirigendo da tecnico un reparto di un’azienda
metallurgica. Ben presto iniziò a frequentare i centri di addestramento
dell’Armata Rossa. A Mosca frequentò l’Accademia Militare “Michail Frunze” dove divenne ufficiale col grado di
Maggiore.
La Cina
Da
Maggiore, andò in Cina unendosi all’Esercito popolare sotto la guida di Mao
Tse-tung. In Cina approfondì le tecniche di guerriglia sperimentate e adottate
dalle truppe maoiste.
Spagna
Quì sopra foto di gruppo
per i garibaldini italiani volontari in Spagna. Tra loro comandanti militari e
commissari politici. I due al centro sono (a sinistra con il giaccone bianco)
Luigi Longo “Gallo”, poi comandante partigiano in Italia e segretario del Pci,
e il dirigente comunista Ilio Barontini.
|
Nel 1936 mese di Luglio con
“l‘Alzamiento” dei cuatro generales fascisti: Francisco Franco, Emilio
Mola, Gonzalo Queipo de Llano e José Enrique Varela, inizia la guerra civile in
Spagna. Ilio Barontini fu chiamato a fare il commissario politico nella XII
Brigata Garibaldi (composta da antifascisti italiani), che faceva parte delle
Brigate Internazionali. Il comandante della Brigata era Randolfo
Pacciardi che nella battaglia di Guadalajara rimase ferito, Barontini
così divenne Capo di Stato Maggiore della Brigata e si distinse come comandante
a Jarama, a Guadalajara e a Huesca. Di questo periodo possiamo citare la
biografia su Barontini del Comune di Livorno “Allo scoppio della
guerra civile spagnola è inizialmente incaricato di organizzare il
trasferimento dei volontari attraverso la Francia. Giunge in Spagna nella
seconda metà dell'ottobre 1936 arruolandosi nel Battaglione Garibaldi e, negli
elenchi della base di Albacete, si registra col proprio nome ma come
proveniente dal... Messico. Vale la pena di notare che Barontini solo qui cede al
"peccato di orgoglio" di combattere per i suoi ideali
internazionalisti adoperando la propria identità. Infatti, all'appellativo di
"Baroni" usato nei primi anni francesi, farà seguire quello di
"Fanti" in URSS, di "Jangas" al suo rientro a Parigi,
"Paulus" con i partigiani etiopici, "Jobbe" o
"Giobbe" quando tornerà in Francia e infine sarà "Dario" in
Italia. Barontini è con Randolfo Pacciardi e Guido Picelli alla battaglia per
la conquista di Mirabueno dal 4 all’8 gennaio 1937, nell’azione volta a
bloccare l'attacco a Madrid dal Nord Est. Appena conquistato il monte Kataral,
20 chilometri oltre Guadalajara, viene riacquartierato a Madrid col Battaglione
dei volontari italiani ed immediatamente ridislocato
nella valle del fiume Jarama, dove l'intervento sarà decisivo per la
riconquista del ponte di Arganda, in precedenza conquistato in una sanguinosa
sorpresa dalle truppe marocchine. Durante questi combattimenti le schegge di un
obice feriscono lievemente alla testa Pacciardi. Ilio assume allora anche il
comando militare della formazione, benché leggermente ferito ad una spalla. E'
lui, in sostituzione di Pacciardi, a guidare il Battaglione Garibaldi nelle
incerte quanto esaltanti giornate della Battaglia di Guadalajara, fra l'8 e il
24 marzo 1937, con cui fu respinto un nuovo tentativo di attaccare Madrid.
Barontini è calmo, non alza mai la voce. L'11 marzo schiera le truppe che
fiancheggiano la strada di Brihuega, frenando l'avanzata dei fragili carri
armati leggeri (non a caso soprannominati dai soldati “scatole di sardine”) del
generale Mario Roatta che verranno ricacciati in disordinata fuga dai nuovi e
più efficaci carri armati forniti dall'URSS. Nelle successive giornate tocca
proprio a lui, toscano, inviare i garibaldini della 4a compagnia a fronteggiare
il Battaglione fascista "Lupi di Toscana" che era riuscito ad
occupare il fortificato Palacio de Ibarra, da dove verrà scacciato da un'azione
coordinata fra le formazioni spagnole, due compagnie del Battaglione Garibaldi
ed il Battaglione franco-belga della XI Brigata Internazionale. Nei primi
giorni del maggio 1937, durante la repressione della sedizione anarchica a
Barcellona, Ilio si pronuncia esplicitamente contro l'impiego degli
"internazionali" ed è molto turbato dalle notizie che giungono sui
"processi di Mosca". Nell'agosto dello stesso anno -come commissario
politico del battaglione - vive la sconfortante operazione che avrebbe dovuto
portare alla conquista di Saragozza, esauritasi con esiti strategici mediocri,
errori sul campo ed ingiustificate perdite di combattenti. Ilio, rigoroso
nell’esigere il rispetto della disciplina, è però attento agli aspetti umani ed
al rispetto che ritiene dovuto ai volontari stremati dalla fatica e dai
sacrifici. Questa consapevolezza lo porta ad urtarsi con i comandi militari
superiori quando, il 24 settembre '37, dopo due ore di pioggia torrenziale, fa
ritirare negli acquartieramenti di Pastelnou (regione di Teruel) le truppe
schierate in attesa di una ispezione da parte del comandante del XII Corpo
d'Armata spagnolo, Casado, che era in grave ritardo. Barontini, per placare le
ire dei comandi, sebbene difeso da molti suoi compagni, viene richiamato in
Francia. Si chiude
così l'impegno di Barontini nella Guerra di Spagna”
Etiopia
Dopo la sconfitta delle forze democratiche in
Spagna, nel 1938 il PCI d’accordo con la terza Internazionale, decise di
aiutare le forze di resistenza al fascismo in Etiopia. Il futuro segretario
generale della CGIL Giuseppe Di Vittorio, che era un dirigente del Comintern, decise di inviare in
Etiopia in aiuto al Negus, assieme ad altri esponenti della IIIa Internazionale un
terzetto di comunisti Italiani: Ilio Barontini (Paulus), Anton Ukmar (Joannes),
Domenico Rolla (Petrus) che divennero “i tre apostoli”. Su quegli avvenimenti
Giovanni Pesce scrive: ”Il Negus dette a Barontini il ruolo di consulente del
governo provvisorio alla macchia e il titolo di vice imperatore. Barontini e
gli altri due
“apostoli”, che agivano in zone
diverse, predicavano l’unità delle razze e delle coscienze. Riuscirono ad
infondere il senso del nazionalismo. Non era mai accaduto nell’Africa tribale.
C’era una fame terribile anche allora, in Etiopia. Per non pesare sulle tribù,
Barontini faceva mangiare ai partigiani i coccodrilli. Mi disse che erano
abbastanza buoni». La polizia italiana seppe di Barontini? «Presto si
sparse la voce di questo capo bianco che dirigeva la resistenza. Misero una
taglia sopra la sua testa. Seppero che era Barontini e fecero circolare la sua
foto. Ma “Paulus” aveva una gran barba. Era irriconoscibile. Comunque andarono
vicini alla sua cattura. Un capo tribù arrivò al comando di “Paulus” con i suoi
uomini e chiese di entrare fra i partigiani. Poche ore dopo tentò di saltare
addosso a “Paulus”, ma “Paulus”, che stava sempre in guardia e non dormiva due
notti di seguito nel medesimo posto, evitò la tagliola e le suonò al
traditore». Anche qui ci sono degli italiani che combatterono contro gli
italiani. «Era la lotta del fascismo. Graziani non scherzava. Oggi è
chiaro che la spedizione in Etiopia fu un errore, un dispendio inutile di vite,
di capitali. Che poi gli italiani agli ordini di Graziani e quelli che scesero
laggiù per lavorare, fossero quasi tutta brava gente, è un altro discorso.
Tanto è vero che Barontini non volle mai che fosse torto un capello ai soldati
italiani caduti prigionieri. E tu non hai idea di quanti italiani sono rimasti
insabbiati nelle tribù, di loro volontà, dopo essere stati fatti prigionieri"
Il generale fascista Graziani, nonostante
l’impiego abnorme di uomini e mezzi e purtroppo anche di armi non
convenzionali, non riuscì a sottomettere del tutto l’Etiopia. Barontini,
Rolla e Uckmar avevano un lasciapassare del Negus. Organizzarono in Abissinia
un forte movimento partigiano e un governo provvisorio di patrioti, diffondendo
in due lingue un giornale settimanale "La Voce degli Abissini". In
seguito il Negus dette a Barontini il titolo di vice-imperatore. Ras Destà,
rappresentante etiopico alla Società delle Nazioni, li accompagnò fino a
Khartoum in Sudan. Graziani aveva messo una taglia sulla sua testa, ma lui
riesce a sfuggire, a Khartoum è accolto dal generale inglese Alexander, dal
quale sarà poi decorato.
Ancora in Francia
Nel
1940, quando le truppe naziste la invasero all’inizio della seconda guerra
mondiale, Barontini rientrò in Francia. Col nome di battaglia di
"Giobbe" divenne capo di stato maggiore centrale dei gruppi
di Francs-tireurs partisans, dei quali era stato tra i primi
organizzatori. Ancora dalla biografia di Barontini del Comune di Livorno “Con
la Francia di Petain in ginocchio davanti a Hitler, Barontini nell'estate del
'40 si impegna nell'organizzazione dei maquis e da piccoli colpi con le
rivoltelle passa ad azioni combinate tra i diversi gruppi con l'uso di bombe e
dinamite. Giunto a Parigi, Barontini istruisce e guida piccoli gruppi della
capitale ai quali insegna a produrre e usare le "bombe Jobbe", anche
se la situazione della città rende estremamente rischioso operare. Ilio si
sposta a Marsiglia alla metà del '41, dopo essersi salvato dalla prigionia in
un campo di internamento tedesco grazie all’intervento del governo sovietico,
poiché nella "zona libera" le condizioni per operare sono più
agevoli. Quando i tedeschi estendono il loro controllo diretto anche al sud
della Francia, Barontini diventa capo di stato maggiore dei Franc-tireurs et
partisans français nel marsigliese e guida clamorose azioni di guerriglia tra
cui l'attentato all'Hotel Terminus, residenza degli ufficiali nazisti”
La resistenza in Italia
Dopo
l'8 settembre 1943, Ilio Barontini passò il confine italiano e fu inserito nel
Comando generale delle Brigate Garibaldi col suo nuovo pseudonimo
"Dario". Come comandante delle brigate organizzò i GAP (Gruppi di
Azione Patriottica) nelle regioni occupate dai nazifascisti. Dall'inizio del
1944 e sino alla Liberazione, Barontini fu alla testa del CUMER (Comando
militare unificato Emilia-Romagna) e diresse i partigiani nei più importanti
scontri col nemico (Porta Lame, Monte Forni, Modena). Il generale Harold
Alexander (già conosciuto a Khartoum, durante la resistenza abissina ai
colonialisti fascisti, e al quale Ras Destà aveva presentato "Paulus"
come vice dell'imperatore Ailè Selassiè), lo decorò, nella Bologna liberata,
con la Bronze Star Medal. Il sindaco di Bologna Dozza lo proclamò
cittadino onorario.
Il
dopoguerra in Italia
Ilio Barontini
"Dario" e Valter Audisio
"Colonello Valerio" ad una
sfilata
di comandanti partigiani
|
Dopo la
Liberazione, Ilio Barontini venne eletto deputato all’assemblea Costituente, e
nella seconda Legislatura senatore della Repubblica per il collegio di Livorno.
Nel PCI assunse l’incarico di segretario della Federazione di Livorno e di
membro del Comitato centrale e della Direzione .
Ilio
Barontini muore in un incidente stradale il 22 gennaio 1951 a Scandicci alle
porte di Firenze assieme ad altri due membri della segreteria della federazione
livornese del PCI Otello Frangioni e Leonardo Leonardi, mentre si recano nel
capoluogo toscano alla celebrazione del 30° anniversario della fondazione del
Partito Comunista Italiano.
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Etiopia. I guerrieri rasta e l’impero di latta
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