Ogni tanto vale la pena fermarsi ad ascoltare Goran Bregovic e la sua orchestra, tanto più quando il brano suonato è la più bella canzone della resistenza italiana al nazifascismo e ancora tanto più quando questo pezzo viene suonato a Parigi davanti a un pubblico entusiasta che canta in Italiano.
Ancora un angolino di una scarpatina stradale in territorio di Laconi. In pochi decimetri quadrati si possono contare decine di orchidee di 2 generi e di 5 specie diverse.
(Quali? se volete potete indovinarlo e scriverlo nei commenti al post ai quali risponderò).
Ancora una volta devo ricordare che questo angolino esiste solo grazie al fatto che nella cunetta non vengono usati diserbanti chimici.
"Gira per la città Dante Di Nanni" il riferimento è a una frase della canzone degli Storm Six che ho linkato alla fine di questa pagina.
69 anni fa moriva Dante Di Nanni, è
doveroso ricordarlo perché negli anni la sua determinazione e la sua coscienza
civile usate contro l’oppressione nazifascista, sono state e penso siano ancora
un esempio da seguire per intere generazioni di giovani.
Dante Di Nanni (Torino 27 marzo 1925 - Torino 18 maggio 1944)
Partigiano, Medaglia d'oro al valor militare
Nato a
Torino il 27 marzo 1925, i suoi genitori erano di origine pugliese. Inizia a
lavorare in fabbrica da ragazzo e di sera studia. Quando scoppia la seconda
guerra mondiale, Dante si arruola nell’aeronautica. Dopo l’otto settembre del
1943, scappa in montagna ed entra a far parte del gruppo partigiano di Ignazio
Vian a che fu il primo comandante partigiano a iniziare la guerriglia nelle
montagne piemontesi. Il 19 settembre dopo un durissimo scontro a Boves con le
SS comandate dal maggiore nazista Joachim Peiper (responsabile tra l’altro
della strage ai danni della popolazione inerme proprio a Boves), la formazione
partigiana si disperse e Dante Di Nanni rientrò a Torino e si arruolò nei GAP
di Giovanni Pesce.
Il 17 maggio
del 1944 un gruppo di Gappisti (Dante Di Nanni, Giuseppe Bravin, Giovanni Pesce
e Francesco Valentino) conducono un’azione contro una stazione radiofonica
gestita da militari nazi-fascisti che disturbava le comunicazioni di Radio
Londra. I militari vengono disarmati e vengono graziati in cambio della
promessa di non dare l’allarme. La stazione viene distrutta ma i soldati
tradiscono l’accordo, danno l’allarme e richiamano le truppe nazifasciste che
sorprendono i quattro partigiani. Nello scontro a fuoco che ne seguì Giuseppe
Bravin e Francesco Valentino vengono feriti, catturati e imprigionati nelle
carceri Le Nuove. Per settimane verranno poi torturati e infine il 22 Luglio
1944 impiccati. G. Bravin aveva 22 anni, F. Valentino ne aveva 19.
Nello
scontro a fuoco, anche se riescono a scappare, vengono colpiti anche Giovanni
Pesce e Dante Di Nanni. Giovanni Pesce riesce a portar via Dante gravemente
ferito da 7 proiettili al ventre, alla testa e alle gambe. Si rifugiano prima
in una cascina e dopo nella base gappista di Via S. Bernardino 14 a Torino. Un
medico antifascista li visita e consiglia l’immediato ricovero in ospedale di
Di Nanni. A quel punto Giovanni Pesce si allontana dall’abitazione per
organizzare il trasporto del compagno ferito. Al rientro trova la casa
circondata da fascisti e tedeschi che erano stati allertati da una spia.
Dante Di
Nanni sia pure ferito gravemente è sveglio e si accorge della presenza delle
truppe che hanno circondato la casa. Non si fa catturare, anzi si barrica nell’appartamento
e inizia un durissimo scontro a fuoco. I nazifascisti hanno portato come
supporto alle truppe anche un’autoblindo corazzata e un carro armato. Dante di
Nanni dal balcone lancia le bombe a mano e le cariche di tritolo presenti
nell’appartamento sui veicoli corazzati e li mette fuori uso, nel conflitto a
fuoco elimina numerosi nemici e dopo tre lunghe ore di assedio e di scontri,
finite le munizioni, Dante Di Nanni si trascina sulla ringhiera del balcone,
solleva il pugno chiuso e si butta nel vuoto.
Dante Di
Nanni (Disegno murale - via Guastalla angolo via Cesare Balbo, Torino)
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In un capitolo del libro di Giovanni Pesce "Senza tregua. La guerra dei GAP" le ultime ore della sua vita
Ora, nella casa di via San
Bernardino, Di Nanni è solo.
Ancora disteso sul letto, le braccia piegate, le mani strette sotto il cuscino.
Ivaldi è uscito da poco. Hanno continuato a parlare, quando è tornato dalla
cucina dove si è medicato. Sembra di avere una quantità di
cose da dire, da spiegare, quando si sa di dover morire. Una guerra come la
nostra non lascia molto tempo per le conversazioni. Si prepara l'azione, la si
esegue: quando ci si incontra ogni minuto viene impiegato per le questioni
pratiche, urgenti. Per la prima volta ci troviamo di fronte e possiamo parlare.
Di noi, del perché combattiamo, del domani. Forse parlare del futuro cancella
l'angoscia della fine vicina. O forse ci sono cose che dovevano essere dette da
tempo e che ci diciamo ora. È appena un ragazzo, ma ha già tante cose dentro,
tante idee e una certezza così ferma nel nostro futuro. Penso a me stesso,
quando sono partito per la Spagna. I giovani di oggi maturano più rapidamente.
Lo abbraccio piano prima di lasciarlo per andare a sollecitare l'autolettiga. "So cosa fare se
vengono," ha detto Di Nanni e ha voluto accanto al letto i due mitra, lo
"sten" e il sacco degli esplosivi con le micce a strappo già pronte e
infilate nei detonatori. Ora giace immobile e aspetta. Chi giungerà prima: la
lettiga o gli altri?
Una serie di colpi violenti scuotono la porta. Gli altri sono giunti per primi.
Si gira lentamente, s'appoggia con le mani al pavimento e scivola dal letto,
battendo le ginocchia sulle piastrelle fredde. Si solleva sul gomito piegando
la gamba sinistra sotto il corpo: prende un mitra e innesta un caricatore di
quaranta colpi.
Prima di uscire Ivaldi lo ha aiutato a infilarsi i pantaloni perché sia già
pronto quando giungerà l'autolettiga; fa scivolare due "sipe" nella
tasca destra, un'altra la tiene nella mano sinistra. Trascinandosi avanza verso
la porta. Nella destra stringe il mitra.
"Vengo," grida.
"Aprite!" urlano dal pianerottolo.
Di Nanni si schiaccia al muro, lascia il mitra, passa la "sipe" nella
mano destra e toglie la coppiglia, tenendo salda la piccola leva piatta. Da
fuori cercano ora di abbattere la porta a calci, ma è una porta di buon legno
robusto, e resiste bene.
"Apro," grida ancora Di Nanni.
Si appoggia sulla sinistra tenendosi dietro lo stipite; lascia scattare la leva
della bomba e conta: al "cinque" preme il pollice facendo scorrere la
sbarra della serratura. La porta, spinta dall'esterno si apre di schianto. Di
Nanni lascia scivolare sul pianerottolo la bomba e si abbandona sulla schiena,
al riparo della parete. Un secondo e all'esplosione nella tromba delle scale
rispondono le urla dei colpiti. Un fascista, trascinato dallo slancio, piomba
nell'anticamera e Di Nanni, restando sdraiato, ne blocca la corsa con una
raffica breve, da tre metri. Il fascista sembra un attimo paralizzato, lascia
cadere il mitra e barcollando arriva nella camera, finendo bocconi sul balcone.
Strisciando sui gomiti Di Nanni si spinge sul pianerottolo, ingombro dei corpi
di due fascisti. Appoggiando la fronte alla ringhiera, può vederne altri che
scendono incespicando sui gradini. Infila la canna del mitra tra le sbarre e
spara: li sente gridare e li vede cadere come dei sacchi vuoti.
Si trascina nuovamente in casa e chiude la porta; questa non sembra danneggiata
perché il battente era aperto al momento dell'esplosione.
All'ingresso della stanza, sul pavimento, c'è il mitra del brigatista
abbattuto. Di Nanni lo spinge, la canna in avanti, fino accanto al letto. Non
cerca il corpo. Si trascina ancora attraverso la camera e, dalla cucina, spinge
il tavolo contro la porta d'ingresso: poi sistema una doppia catena di sedie
fra il tavolo e la parete; per colmare un ultimo spazio vuoto uno sgabello.
Cosí la porta è completamente bloccata, quanto basta a fermare un po' gli invasori
anche se facessero saltare la serratura.
Più di così non può fare. Strisciando sotto il tavolo, torna in camera e si
arrampica sul letto. Si sdraia sul ventre, di traverso ai materassi, in modo da
avere il balcone in faccia.
Può vedere un pezzo di inferriata, due finestre della casa di fronte, un poco
di tetto.
Il corpo del fascista è dietro la breve parete, sulla sinistra, nel vano della
finestra, dove la ringhiera del balcone si aggancia al muro esterno. Lo
indovina seduto o semisdraiato, con le ginocchia piegate: vede le scarpe uscire
dall'angolo del muro.
Nella casa sembra ora essersi fatto un gran silenzio. Forse non succederà
altro, forse Ivaldi tornerà con l'autolettiga e andranno all'ospedale. Dalla
strada non salgono rumori sospetti, niente che faccia temere un nuovo assalto.
Non può accadere dunque nulla in quel silenzio. Però Ivaldi deve far presto
perché non può resistere a lungo. Tocca le fasciature della schiena e le sente
viscide. Guarda la mano e la vede sporca di sangue. Deve restare calmo,
sopportare il dolore e non perdere altre forze.
Le scarpe, all'angolo del balcone, hanno un sussulto, scivolano in avanti. Di
Nanni capisce che il fascista sta morendo.
Gli tornano alla mente racconti dell'altra guerra: italiani e austriaci feriti,
isolati nella terra di nessuno, che riuscivano a capirsi a gesti per scambiarsi
una sigaretta o un sorso di grappa, per maledire in lingue diverse ma con
parole uguali la guerra e chi li aveva mandati a morire senza neppure sapere
perché.
Fissa quelle scarpe scivolate in avanti in una chiazza di sangue. La guerra
combattuta da suo padre è stata una guerra diversa. Allora, i soldati si sono
trovati una divisa addosso, un fucile in mano e l'ordine di sparare senza altre
spiegazioni.
In questa guerra ognuno ha fatto la sua scelta. Né a lui né all'altro hanno
messo in mano un fucile senza spiegare perché. Ha scelto in piena coscienza la
parte dove stare; e così è stato per il fascista sul balcone. Ognuno paga i
debiti che ha contratto.
Dalla strada giunge improvviso il rumore di un motore, poi alcune grida. Di
Nanni capisce che è giunto il momento. L'autolettiga non arriverà più e lui non
andrà all'ospedale, né da nessun'altra parte.
Il motore si arresta davanti alla casa, proprio sotto il balcone, e tra i passi
di molti uomini Di Nanni ode lanciare ordini incomprensibili. Grida anche una
donna, di paura. Di Nanni la sente correre sull'asfalto invocando aiuto.
Il secondo assalto forse sarà diverso. Ora la tattica migliore è di aspettare,
perché questo li sconcerterà. Si attendono raffiche e bombe e stanno al riparo.
Sparare non può servire. Adesso tocca a loro la prima mossa.
Nella strada c'è un lungo silenzio, poi, con un forte accento tedesco, qualcuno
grida: "scendere, arrendersi!" Passa altro tempo. Un secondo motore
imbocca la via per fermarsi al portone. Una scala d'autopompa si avvicina alla
ringhiera del balcone. Oscilla un poco, come in cerca di un punto d'appoggio e
si ferma ben salda. Subito dopo riprende ad oscillare: qualcuno sta salendo.
La stessa voce tedesca grida ancora: "prendere, prendere! un pazzo!"
Di Nanni, bocconi sul letto, punta il mitra.
Dal bordo del balcone spunta l'elmetto di un pompiere, poi il viso di un uomo
già anziano. Pare esitare; getta uno sguardo perplesso al corpo del fascista e
scruta nella stanza. Non vede Di Nanni e riprende a salire adagio, guardingo.
Si china per dire qualcosa a uno che lo segue nella scala e che Di Nanni non
vede ancora; poi scavalca la ringhiera dando un'altra occhiata al fascista
senza avvicinarsi e vede il mitra puntato. L'altro che lo segue resta
cavalcioni sulla ringhiera.
"Andate via," dice Di Nanni, a voce bassa, calma, "non sono un
pazzo. Sono un partigiano."
I vigili del fuoco sembrano perplessi; il ragazzo col mitra sdraiato sul letto,
sa quel che vuole. Il fascista morto insegna la lezione. Entrare e morire è una
cosa sola. Il pazzo è chi rischia.
"Non è matto," grida alla strada il secondo pompiere, ancora
cavalcioni alla ringhiera, "non è matto!" Dalla via giungono altre
frasi rabbiose, urlate. "Andate a prenderlo!"
"Andate via," ripete Di Nanni, "non ce l'ho con voi."
Il vigile del fuoco fa due passi indietro ed è di nuovo sul balcone.
"E questo?" chiede indicando il morto.
"Quello portatelo via," risponde Di Nanni.
Se lo passano sopra la ringhiera. L'anziano fa ancora un cenno a Di Nanni —
come per dire qualcosa — mentre scende.
Ora tocca a lui muoversi: si cala dal letto e striscia fino al balcone; così
appiattito a terra non possono vederlo dal basso. Ancora non hanno pensato a
mandare qualcuno sul tetto della casa di fronte e sul campanile vicino. Di
Nanni guarda sulla destra e vede la stretta via bloccata; un gruppo di tedeschi
sbarra l'accesso a una piccola folla. A sinistra, la via è bloccata da
fascisti. Anche là c'è gente, donne per lo più. Sotto, dove Di Nanni non può
vedere, ci sono mescolati militari tedeschi e fascisti.
Osserva attentamente finestre e facciate del convento dirimpetto. Tutto chiuso,
sbarrato. Toglie la sicura a una "sipe" appoggiandola a terra. Poi
toglie la sicura a una seconda bomba. Le spinge una dopo l'altra fra le sbarre
della ringhiera. Ode le esplosioni e le urla. Guarda a sinistra. Le donne
fuggono lasciando isolati i fascisti addosso al muro. Spara una raffica breve e
una lunga. Tre fascisti cadono. Spara ancora contro gli altri che si sbandano
in cerca di riparo e ne abbatte uno proprio all'angolo della via.
Poi rincula strisciando e rimane sdraiato sulla so-glia della portafinestra. Da
là può sorvegliare il tetto di fronte e il campanile. Passano pochi minuti, e
lentamente, un elmetto spunta sopra l'angolo del tetto, poi appare il viso del
tedesco. Mentre leva adagio il mitra vede un altro tedesco apparire nel vano
della loggia campanaria. Cerca di inquadrare il nemico sul tetto, ma il mitra,
contro la spalla sinistra, non sta fermo; appoggia allora il gomito destro al
muro e mira di nuovo. Spara pochi colpi. Il viso del tedesco sparisce,
scomposto. Di Nanni punta subito al campanile. Il secondo tedesco si mostra per
una frazione di secondo, poi si abbassa, torna a mostrarsi e si abbassa di
nuovo. Sembra un giocattolo meccanico. Di Nanni lo vede abbassarsi, attende
pochi istanti e spara dentro l'apertura vuota: in quel momento il tedesco si
alza e ricade urlando, mentre le campane colpite dalla raffica sembrano suonare
a festa. Si trascina lontano dal muro. Ora tocca nuovamente a loro. E deve
lasciarli fare, affinché credano di averlo in mano e tornino a mostrarsi.
Si cala dietro l'angolo di sinistra della finestra e aspetta. Prima vengono dei
colpi isolati: poi le raffiche di mitra. Sparano a lungo. Le schegge della
finestra si staccano con un rumore secco. I colpi sparati dal basso, forse dai
portoni di fronte, finiscono nel soffitto, staccando l'intonaco.
Poi gli spari si diradano; le raffiche si fanno brevi e si spengono. Di Nanni
attende ancora fino a che ode i primi colpi rintronare alla porta; allora si
trascina attraverso la stanza. Dall'altra parte continuano a tempestare l'uscio
barricato col tavolo e le sedie. Di Nanni punta il mitra appena sopra il
tavolo. Tiene schiacciato il grilletto, mentre ruota l'arma da destra a
sinistra, lentamente, poi ancora a destra. Si sentono urla e gemiti. Punta
ancora, a livello del pavimento questa volta, e spara due ultime raffiche.
Torna alla stanza e si mette in ascolto. Devono essere in molti attorno alla
casa. Gridano ordini in tedesco e in italiano; ma le voci si sono allontanate
oltre il fondo della via. Sono diventati prudenti e si tengono al coperto.
Sparano di nuovo: colpi isolati e violente raffiche. Forse pensano di bloccare
i suoi movimenti o forse sperano di colpirlo con un proiettile fortunato. Certo
non può continuare a lungo in quel modo. Devono fare qualcosa di decisivo:
tutto il quartiere è in allarme e la voce che trecento tedeschi e fascisti sono
impegnati da due ore con forti perdite contro un solo partigiano, si va
diffondendo.
Devono fare qualcosa di nuovo e presto. Si ode il ringhiare di un grosso
motore. Di Nanni striscia sul balcone, mentre anche dai tetti lontani si
comincia a sparare, spia tra le sbarre sulla sinistra: un'autoblinda avanza
lentamente, al centro della via stretta; la seguono curvi dieci o dodici
tedeschi e fascisti. All'improvviso la canna della mitragliatrice che spunta
dalla torretta comincia a sussultare. Di Nanni si rovescia lesto sul fianco e
rotola nella stanza mentre i colpi schiantano gli spigoli del balcone e
rimbalzano sulla ringhiera di ferro.
Allora Di Nanni toglie cinque pezzi dal pacco di tritolo e li lega assieme con
una striscia di tela; nel mezzo infila un detonatore con una miccia corta ad
accensione a strappo e torna al balcone. La mitragliatrice tace; il ritmo del
motore in folle indica che l'autoblinda è ferma sotto il balcone. Di Nanni
svita il cappuccio dell'accensione e tira la cordicella, sente come il fruscio
di un fiammifero sfregato contro un mattone, conta cinque secondi; butta il
tritolo appena sopra la ringhiera. L'esplosione viene immediata, tremenda; la
casa trema tutta. Il motore dell'autoblinda si è arrestato. Qualcuno, rimasto
dentro, cerca di rimetterlo in moto. Di Nanni torna ai piedi del letto, prepara
altri due fasci di tritolo e, dal balcone, li lascia cadere senza contare
perché sotto non c'è piú nessuno che possa spegnere le micce.
Dopo le esplosioni, non si odono più né rumori né grida; tedeschi e fascisti
devono essere disorientati. Stanno osservando, al riparo, l'autoblinda
immobilizzata e i morti attorno; forse cominciano a dubitare di trovarsi di
fronte a un solo partigiano.
Di Nanni torna ancora verso il letto e con tutto l'esplosivo rimasto prepara
altri pacchi, mette i detonatori e si sdraia supino. Dalla strada giunge una
voce ingrandita e distorta dall'altoparlante: "Arrendetevi. Vi garantiamo
salva la vita. Arrendetevi e sarete salvi." Poi qualcos'altro di
incomprensibile.
Il rotolare ferroso di cingoli sull'acciottolato annuncia l'arrivo di un carro
armato. Avanza lentamente, ruotando la torretta col cannoncino, gli sportelli
delle mitragliatrici aperti. Di Nanni attende che vengano sotto, affinché gli
uomini nel carro non possano vedere il balcone dalle strette fessure della
torretta. Allora accende le micce. Afferra con la destra i legacci e alzando il
primo pacco d'esplosivo sopra la sua testa lo scaglia oltre la ringhiera, nella
strada, davanti al carro armato. Poi lancia il secondo e il terzo.
Chi guida vede certamente cadere i pacchi ma quando tenta di frenare è tardi;
uno di essi esplode a un palmo da] cingolo destro che si spezza di schianto. Le
altre due esplosioni completano il lavoro. Il carro comincia a girare su se
stesso spinto dal cingolo intatto e finisce contro il muro della casa di
fronte.
Il motore si arresta e gli uomini escono cauti dallo sportello e si
allontanano. Di Nanni non può vederli.
Adesso ogni rumore è cessato. Un attimo di tregua, di pace prima della fine
ormai vicina. L'esplosivo è terminato assieme alle " sipe." Nel
caricatore del mitra restano sì e no venti colpi. Di Nanni toglie un proiettile
e se lo mette in tasca, poi striscia di nuovo al balcone, pone il dito sul
secondo grilletto del mitra, quello del colpo singolo e spia la strada. Da
sinistra camminando curvi, rasenti il muro, avanzano tre tedeschi. Non portano
fucili ma stringono in mano grappoli di bombe. Intendono usare la sua tattica:
lanciare le bombe dal basso, dietro la porta-finestra del balcone. Prende la
mira tra le sbarre e spara sul primo nazista che cade in avanti; il secondo
colpo manca quello che lo segue, ma il terzo lo raggiunge subito dopo. Spara
tre colpi all'ultimo che fugge. Il nazista cade, si rialza e riprende a correre
zoppicando. Si salva buttandosi dietro l'angolo della via. In quel momento, dal
tetto di fronte parte una raffica rapida e violenta. Un tedesco spara col
ginocchio sinistro appoggiato alle tegole della sommità del tetto; non si
nasconde. La sua raffica dovrebbe essere decisiva, ma passa alta sulla testa di
Di Nanni che lo abbatte sparando a raffica i suoi ultimi colpi.
Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono
addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l'ultima cartuccia,
la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla
sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto
poi con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola; da ufficiale di
carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul
ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando
viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L'ultimo
fascista cade fulminato col colpo.
Adesso non c'è piú niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della
ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica.
Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si
vedono apparire uno alla volta, fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che
li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo
coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano.
E in quell'attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla
ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia
aperte, nella strada stretta, piena di silenzio.
"Gli anni e i decenni passeranno: i giorni duri e sublimi che noi viviamo
oggi appariranno lontani, ma generazioni intere di giovani figli d'Italia si educheranno
all'amore per il loro paese, all'amore per la libertà, allo spirito di
devozione illimitata per la causa della redenzione umana sull'esempio dei
mirabili garibaldini che scrivono oggi, col loro sangue rosso, le più belle
pagine della storia italiana."
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Stormy Six
Dante di Nanni
(Umberto Fiori - Tommaso Leddi)
Nel traffico del centro pedala sopra il
suo triciclo
e fischia forte alla garibaldina.
Il carico che piega le sue gambe è
l'ingiustizia,
la vita è dura per Dante di Nanni.
All'alba prende il treno e c'è odore di
porcile
sui marciapiedi della sua pazienza,
e nella testa pesano volumi di bugie.
La sera studierà, Dante di Nanni.
Trent'anni son passati, da quel giorno che
i fascisti
ci si son messi in cento ad ammazzarlo
E cento volte l'hanno ucciso, ma tu lo
puoi vedere:
gira per la città, Dante di Nanni.
L'ho visto una mattina sulla metropolitana
E sanguinava forte, e sorrideva.
Su molte facce intorno c'era il dubbio
e la stanchezza.
Ma non su quella di Dante di Nanni.
Trent'anni son passati, da quel giorno che
i fascisti
Ci si son messi in cento ad ammazzarlo
E ancora non si sentono tranquilli,
perché sanno che gira per la città, Dante
di Nanni.