sabato 29 aprile 2017

Mostra fotografica Giros all'Acquario di Cala Gonone






Deas Pintadas 

Mostra fotografica sulle orchidee spontanee in Sardegna

Acquario Cala Gonone 1 maggio - 1 novembre 2017


L'Acquario di Cala Gonone ospita, dal 1 maggio al 1 novembre, la mostra fotografica Deas Pintadas, sulle orchidee spontanee in Sardegna. L'iniziativa, curata da Giros Sardegna, con il gratuito patrocinio del Comune di Dorgali e dell'agenzia Forestas, nasce per sensibilizzare il grande pubblico sull'importanza della tutela della biodiversità, anche attraverso la preservazione delle specie di orchidee spontanee presenti in Sardegna. Un aspetto interessante e poco conosciuto dell'ecosistema isolano che l'Acquario, in collaborazione con Giros Sardegna, vorrebbe portare all'attenzione del grande pubblico. Quella delle Orchidaceae è una Famiglia relativamente giovane e ancora oggi in evoluzione. In tutto il pianeta ne esistono circa 800 generi e 25.000 specie, che rappresentano circa l’otto per cento dei fiori del mondo. Le specie presenti in Italia sono circa 200. Quelle presenti in Sardegna circa 65. In Sardegna però purtroppo, contrariamente a quello che avviene nella stragrande maggioranza delle altre regioni italiane, non esiste una legge di tutela e protezione di questi splendidi e rarissimi fiori, nonostante diverse specie, alcune endemiche, siano a fortissimo rischio di estinzione. A livello internazionale le orchidee spontanee sono protette dalla CITES (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione), ratificata dall’Italia con la Legge 19 dicembre 1975, n. 874, entrata in vigore il 3 ottobre 1979. L’antropizzazione sempre più massiccia degli habitat, hanno già determinato la scomparsa di varie specie e hanno costretto molte altre ad una riduzione drastica nelle popolazioni prima floride. 
Insetti, roditori grandi e piccoli si nutrono dei fiori profumati delle orchidee provocando nelle popolazioni danni a volte gravi. Ma i più gravi danni in questi ultimi anni stanno provenendo dai cinghiali che sono proliferati in modo incontrollabile. E mentre gli animali citati prima si nutrono dei fiori o al massimo degli scapi, i cinghiali, invece scavano e mangiano i bulbi distruggendo per sempre il sito.Inoltre l’uso improprio e sconsiderato di veleni chimici, quali i diserbanti, dove le orchidee spontanee erano ancora presenti in numero confortante (nelle scarpate e nelle pertinenze delle strade e delle ferrovie,negli argini dei fiumi e dei canali di irrigazione) hanno determinato un’ulteriore forte impoverimento delle popolazioni di orchidee spontanee mettendo a forte rischio la loro sopravvivenza. 










domenica 2 aprile 2017

Evgenij Evtušenko: Sono Gagarin, il figlio della terra



Evgenij Aleksandrovič Evtušenko

Nato a Zima (Siberia) Russia il 18 Luglio 1932

Morto a Tulsa (Oklahoma) U.S.A. 1 Aprile 2017 - Poeta e scrittore

Ieri a Tulsa negli Stati Uniti è morto Evgenij Evtušenko, lo voglio ricordare con una poesia che ho amato molto.


Sono Gagarin, il figlio della terra

Io sono Gagarin.
Per primo ho volato,
e voi volaste dopo di me.
Sono stato donato
per sempre al cielo, dalla terra,
come il figlio dell'umanità.
In quell 'aprile
i volti delle stelle, che gelavano senza carezze,
coperte di muschio e di ruggine,
si riscaldarono
per le lentiggini rossigne di Smolensk
salite al cielo.
Ma le lentiggini sono tramontate.
Quanto mi è terribile
non restare che un bronzo, che un'ombra,
non poter carezzare né l'erba, né un bambino,
né far scricchiolare il cancelletto d'un giardino.
Da sotto la nera cicatrice del timbro postale
vi sorrido io
con il sorriso ch'è volato via.
Ma osservate bene cartoline e francobolli
e capirete subito:
per l'eternità
io sono in volo.
Mi applaudivano le mani dell'intera umanità.
La gloria tentava di sedurmi,
ma no, non c'è riuscita.
Sulla terra mi sono schiantato,
quella che per primo ho visto tanto piccola,
e la terra non me l'ha perdonata.
Ma io perdono la terra,
sono figlio suo, in spirito e carne,
e per i secoli prometto
di continuare il mio volo
al di sopra al di sopra dei bombardamenti,
delle tele-radiomenzogne,
che la stringono con le loro volute,
al di sopra delle donnaccole che baldanzosamente
ballano lo streep-tease
per i soldati nel Viet Nam,
al di sopra della tonsura
del frate
che vorrebbe volare, ma è imbarazzato dalla sottana,
al di sopra della censura
che nella sua tonacaccia, inghiottì in Spagna le ali dei poeti...

C'è chi
è in volo
nel simun vorticoso di stelle.
C'è chi
si dibatte
nella palude da se stesso voluta.
Uomini, o uomini
ingenui spacconi,
pensate: non vi fa paura
alzarvi dal Capo che porta il nome dell'uomo che avete ucciso?
Vergognatevi di questo baccano da mercato!
Voi siete gelosi,
rapaci,
vendicativi.
Come potete cadere tanto in basso se volate tanto in alto?!

Io sono Gagarin, figlio della Terra,
figlio dell'umanità:
sono russo, greco e bulgaro,
australiano e finlandese.

Vi incarno tutti
col mio slancio verso i cieli.
Il mio nome è casuale,
ma io non sono stato per caso.

Mentre la terra s'insozzava
di vanità e di peccato,
il mio nome cambiava,
ma l'anima no.

Mi chiamavano Icaro.
Giacqui nella polvere, nella cenere.
Mi aveva spinto verso il sole
il buio della terra.

La cera si sciolse, spargendosi qua e là.
Caddi senza salvezza,
ma un pizzico di sole
rimase stretto nella mia mano.

Mi chiamarono servo.
La rabbia mi pesava sulla schiena
mentre, ritmando il tempo con le mani e coi piedi,
danzavano sul mio corpo.

Io caddi sotto le bastonate,
ma, maledicendo la servitù,
mi costruii delle ali coi bastoni
dei miei torturatori!
Ad Odessa fui Utockin.
Fece uno scarto il duca,
quando al di sopra dei suoi pantaloncini a piffero
si levò un cavallo volante.

Sotto il nome di Nesterov
girando sopra la terra,
feci innamorare la luna
col mio giro della morte.

La morte fischiava sulle ali.
È una virtù disprezzarla
e con Gastello imberbe
mi gettai in volo sul nemico.

E le ali temerarie
ardendo come un rogo, hanno protetto,
voi che foste allora ragazzi,
Aldrin, Collins, Armstrong.

E, sicuro della speranza
che gli uomini sono un'unica famiglia,
dell'equipaggio di Apollo
invisibile io ero.

Mangiammo dai tubetti,
avremmo brindato in viaggio
come sull'Elba,
ci abbracciammo sulla Galassia.

Il lavoro procedeva senza scherzi.
Era in gioco la vita
e con lo stivale di Armstrong
io scesi sulla Luna.